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06-05-2020

Fondi europei. Horizon 2020 e la nuova programmazione

Innovazione e ricerca nel sistema multi-gas in un'ottica di economia circolare e decarbonizzazione

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Marcello Capra del Mise in un’intervista a Energia Media illustra in anteprima i nuovi meccanismi di finanziamento ancora in fase di definizione ma focalizzati principalmente su partnership

Il tema dell’innovazione ha un forte impatto sulla dimensione finanziaria europea, in particolar modo per quanto riguarda i fondi. Proprio in relazione a questi ultimi si può parlare di una visione complessiva o di una maggiore attenzione verso specifici campi?

 

Va innanzi tutto sottolineato che ci troviamo in un momento di transizione in quanto stiamo vivendo l’ultimo anno della programmazione europea 2013-20 e ci stiamo avviando alla chiusura del programma Horizon 2020. Non solo, ci stiamo avvicinando anche al termine della programmazione relativa ai fondi strutturali di coesione che, pur sempre con valenza regionale, mantengono un contenuto afferente ai budget sull’innovazione e la ricerca. Ci troviamo dunque in un periodo di transizione in cui si stanno completando i nuovi programmi, in particolar modo Horizon Europe.

 

Nell’ambito dell’innovazione energetica – che connota ogni tipologia di fondo – è stato fatto negli ultimi anni un importante lavoro e anche Horizon Europe, legato ai fondi strutturali, porterà risorse su temi di ricerca e innovazione che saranno definiti dal set plan, all’interno del quale gli Stati membri sono rappresentati da operatori di ricerca, enti pubblici, Università ma anche imprese.

 

Il set plan ha da subito individuato come prioritari gli ambiti delle smart city e smart communities definendole key actions al pari a quelli legati all’efficienza energetica, alle rinnovabili e alle smart grids e successivamente si è arrivati all’individuazione dei Positive Energy Districts (PED). I primi programmi di Horizon 2020 si sono concentrati su investimenti molto onerosi, complessi e articolati, investimenti che alla lunga sono risultati poco incisivi in quanto su una scala di dimensioni così elevate, fatta salva qualche eccezione, l’impatto delle risorse utilizzate è stato comunque limitato. Proprio a seguito di questa esperienza è emersa l’idea di concentrare gli sforzi sui distretti, sui quartieri, sulle Smart Land, all’interno di zone che possiamo definire sub-urbane. Insomma ambiti più contenuti e caratterizzati, sia in termini di consumi energetici che di mobilità, zone su cui andare a investire e sperimentare con politiche di investimenti anche in tecnologie ad elevata connotazione digitale.

 

Il set plan non ha scadenze, è un frame che dura nel tempo, sicuramente un risultato apprezzabile ma ora ci troviamo, come detto, in un momento di transizione verso il programma Horizon Europe. Quest’ultimo, a differenza del programma precedente, non sarà o per lo meno non sarà completamente focalizzato sulle call dei consorzi o sulle imprese bensì su partnership, centrali nel nuovo programma quadro e divise in tre tipologie: istituzionali, co-programmed e co-founded. Alla base delle prime vi saranno gli accordi di tipo politico e strategico, nelle seconde gli Stati membri condivideranno programmi ma non risorse, nelle terze gli Stati membri stabiliranno in base alle proprie possibilità un budget di risorse e lo gestiranno in maniera autonoma.

 

Se pur tutto sia ancora in via di definizione va comunque sottolineato che la novità di questo meccanismo, basato sulle partnership, risiede nel fatto che ogni Paese sarà chiamato a stabilire una cifra, e andando, dunque, a creare un budget proprio con il quale gestire in autonomia workshop, bandi e sviluppo dei progetti. Vi sarà dunque una gestione congiunta che vedrà la partecipazione anche delle regioni. 

 

Si parla inoltre della possibilità di co-founded da parte della Commissione Europea che dovrebbe supervisionare il budget e i programmi con le loro finalità dopo di che valutare se contribuire o meno agli stessi; il suo intervento non dovrebbe superare il 30%.

 

Diciamo che in linea di massima questo è lo schema che si prefigura per i prossimi sette anni.

 

In termini di approccio ai bandi le imprese dovranno rivedere le modalità o si tratterà solo di un’evoluzione delle procedure attuali?

 

Come detto non si tratta ancora di scelte definitive ma probabilmente per le imprese non vi saranno grandi cambiamenti, saranno infatti chiamate a partecipare a bandi con l’unica differenza che, anziché essere questi ultimi gestiti direttamente dalla Commissione Europea – che stanzia un budget e definisce nel work program le call, i contenuti e le specifiche e decide in seguito quali soggetti far partecipare – con il meccanismo delle partnership diventeranno solo dei contenitori e le risorse economiche verranno gestite direttamente dagli stati membri.

 

Ogni partnership sarà guidata da un board in cui saranno presenti i Ministeri e le regioni degli Stati che hanno aderito a quella specifica, dunque un collegamento diretto con gli interessi e le priorità degli Stati e delle regioni.

 

Un differente meccanismo operativo che però, come detto, non dovrebbe comportare per le imprese significativi cambiamenti; eliminati una serie di passaggi, committenti diventeranno proprio gli Stati membri con interventi quindi più immediati e mirati potendole Nazioni confrontarsi tra loro e decidere su cosa indirizzare gli investimenti.

 

Il numero di partnership in discussione in questo momento è elevato, si parla addirittura di 79, non solo nel campo dell’energia. Una in particolare, “Driving urban transition to a sustainable future” (DUT) nella quale rientrano i Positive Energy District (PED), con la presenza di una bozza di programma, si trova già in una fase molto avanzata. Questa sarà una partnership co-founded, verrà avviata con fondi degli Stati europei, circa 100/130 milioni e avrà tre priorità: la transizione energetica, l’economia circolare e la mobilità. La prospettiva di intervento sarà quindi articolata su questi tre ambiti.

 

Rispetto invece a quelli che definiamo macro-temi, come l’incentivo all’innovazione del settore idrico o il cambiamento climatico, sono previsti interventi più mirati o vengono affrontati in modo differente?

 

Pur essendo ancora tutto in fase di definizione, l’aggancio strategico al set plan e forte ma per quanto riguarda il Green Deal bisogna ancora stabilire cosa esso rappresenterà in futuro, soprattutto a seguito della terribile crisi che stiamo vivendo. Il Green Deal contempla enormi investimenti in infrastrutture e impianti ma rimane un’impalcatura permanente, una sorta di “padre fondatore”, una premessa strategica. Ovviamente non si ripartirà da zero, rimangono i capi saldi del set plan e i risultati raggiunti dai bandi e dalle call, quello che cambia è però l’approccio. A mio avviso l’introduzione tra le priorità dell’economia circolare è un elemento fortemente innovativo che richiederà una partecipazione delle utility facendole diventare protagoniste.

 

Per quanto riguarda il settore dell’acqua in questo momento non sono in grado di dare delle risposte.

 

La possibilità di accedere a questi fondi coinvolgerà anche le utility italiane o riguarderà solo le istituzioni centrali e regionali?

 

Sarà un approccio multi stakeholder e il meccanismo sarà comunque quello di favorire le aggregazioni, consorzi o partnership tra pubblico e privato. L’elemento innovativo risiede nel fatto che la committenza sarà fortemente legata ai governi che partecipano in quando investitori. A tal proposito è doverosa una precisazione, alcuni Paesi hanno istituito le funding agency, ossia agenzie di finanziamento. L’Italia non rientra tra questi, cosa significa? Poniamo il caso che il Mise si presenti ad una riunione, pur se rappresentato dal Direttore Generale o da un Ministro non sarebbe comunque in grado di impegnarsi con un ingente somma economica in quanto il nostro Paese ha dei meccanismi e delle procedure autorizzative molto particolari che richiedono numerose verifiche interne. Questo aspetto ci ha sempre molto penalizzati rispetto ad altri Paesi, come la Svezia per esempio. Mi auguro che con questo nuovo meccanismo si possa sopperire al problema anche perché stiamo parlando di cifre importanti.

 

In Italia ci sono strutture idonee a occuparsene? L’Enea potrebbe essere una di queste?

 

In questo momento direi di no. Ci sono fondi che transitano attraverso l’Enea, per esempio quelli legati alla ricerca di sistema elettrico, ma si tratta di fondi chiusi, che vanno solo agli enti; viene stanziato un finanziamento al 100% loro producono ricerca che viene messa a disposizione di tutti.

 

In queste partnership ci sarà sempre un momento competitivo.

 

Se per esempio per una di esse l'Italia stanzia 10 milioni, quel budget entra in un contesto competitivo e non è scontato torni a disposizione del nostro paese.

 

Si faranno delle call a cui parteciperanno diversi gruppi internazionali che potrebbero presentare progetti più avanzati e vedersi assegnare il finanziamento.

 

Ho visto in passato meccanismi analoghi ed è vero che c'è sempre un criterio nazionale quando si valutano dei progetti di consorzi diversi; ma c'è pure da considerare un balance nazionale tra Stati membri. 

 

Insomma, i regolamenti normali italiani non prevedono che i fondi pubblici se derivano dal bilancio dello Stato possano andare a soggetti esterni. In Europa non è così; io non so se adesso ci vorrà un passaggio legislativo però questa tematica sarà certamente affrontata.

 

Posso comunque garantire che l’Italia è molto interessata a questa partnership, per noi la sta monitorando la dottoressa Paola Clerici dell’Enea che ha ottenuto un mandato dal Mise e dal Miur; c’è quindi un consenso condiviso per parteciparvi.

 

C’è secondo lei tra i diversi Stati una sensibilità tale da far si che gli stessi si rendano conto dell’importanza che questo ambito può avere per le politiche industriali?

 

Alcuni anni fa abbiamo fatto investimenti importanti e molta influenza sul Mise, in questo ambito, hanno avuto le singole personalità. Questo governo nella figura di Alessandra Todde, alla fine dello scorso anno, ha lanciato un’iniziativa sulle smart city e sulla smart mobility. In collaborazione con Agid (l’Agenzia per l’Italia digitale) abbiamo convocato una serie di comuni italiani, tra questi quelli di: Bari, Catania, Roma, Genova, Milano, Torino, Cagliari, chiamando anche alcune Università e generato un documento e una strategia di azione che in questo momento purtroppo ha subito un rallentamento. Agid è, inoltre, molto attenta a coniugare le tecnologie emergenti per la logistica e la mobilità. Il Mise in questo momento sta orientando la sua attenzione al connubio smart city/smart mobility.

 

Purtroppo in questi anni il discorso smart city è stato poco efficace in quanto i sindaci si sono innamorati dei loro progetti, progetti spesso troppo onerosi per poter essere realizzati nella loro totalità, che dunque naufragavano. Ricordo il progetto di Bari, stimato attorno al miliardo e mezzo, ovviamente non è stato possibile portarlo a termine, nessuno è disposto a investire su cifre così grandi. Proprio per questo è necessario focalizzarsi su sottogruppi, su aree più ristrette. Il Ped, che è trasversale, ma anche più specifico può essere efficace in tal senso, soprattutto per quanto riguarda la mobilità.

 

Se il Mise guarda con particolare interesse al connubio tra mobilità, energia e piani per il clima, il Miur sta giocando una partita incerta, rimane estraneo ad alcuni ambiti come ad esempio quello dell’energia e l’ambiente, mentre è più attivo su altri.

 

Verranno creati dei fondi ad hoc su determinati settori, come ad esempio l’innovazione agricola?

 

Immagino di si, i cluster sono tanti. Ad esempio nel cluster citato poco fa su clima, energia e trasporti si toccherà inevitabilmente anche il settore dell’agricoltura. Peraltro il tema agricolo in ambito Green Deal europeo è un punto fondamentale.

 

Il Green Deal da all’agricoltura uno spazio enorme, che non gli era mai stato riservato finora, non nascondo che questo ci ha sorpresi ma pone sicuramente l’Italia in una posizione di vantaggio.

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